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lunedì 28 marzo 2011




Roberto Atria






"Solo coloro che sono abbastanza folli da pensare di poter cambiare il mondo

lo cambiano davvero" A. Einstein







Esistono artisti che dipingono ciò che vedono, altri che dipingono ciò che ricordano o ciò che immaginano. E altri che dipingono i loro sogni e la loro follia.

Roberto Atria è spinto dal demone della follia, quello che scava alla radice dell'espressione artistica.

L'esplosione improvvisa che emerge dalle sue opere sono cromatismi alchemici, flussi informali di energia prefigurale.

Come rilievi marmorei le masse dense invadono l'orizzonte visivo dello spettatore e dilatano gli spazi reali e diffusi della sua percezione.

Gli stimoli visivi, reali o evocati dalla sua memoria, nel momento della creazione dell'opera d'arte, trasformati dalla sua mano in colori e forme, generano un universo mentale dai contorni indefinibili.

In questo senso l'arte di Roberto Atria (Piranha) amplifica la realtà, crea un nuovo "canale mentale" in grado di aprirsi a nuove esperienze.

La vita di Roberto Atria si confonde con la vita dell’artista. Si può dire, con una metafora neanche troppo ardita, che il suo vissuto trae le origini da foreste incommensurabili aggrovigliate di simboli, dopo aver scavato pozzi di immaginario e bevuto acque di terre straniere e asciugato lungo le strade i segni del suo passaggio, lasciando i suoi ricordi su tele insolenti.

Roberto da tempo aveva questo progetto, quello di ribellarsi a tutto ciò che rappresenta la realtà e vive nella realtà.

Credo, avendo seguito il percorso artistico dell’artista in questi ultimi anni, di ritrovare in Atria una rielaborazione nuova dell’immaginario pittorico dei nostri tempi, questa volta capace, anche se in forme non figurative, di ricostruire in una dimensione più coerente gli aspetti parcellizzati della realtà che ci circonda.








Isteria, insana mente di esseri talmente labili da cancellarsi in automatico, maiali da soma, pecore da combattimento, animali che vivono vita non loro, ecco cosa siamo, tante pulci sul culo di un elefante.
Un sentitissimo vaffanculo di vero cuore ai bastardi che popolano la mia giungla imperlata di sesso e di umori.





O voi che avete i morti sepolti sotto l'erba verde e che con tanta gioia potete dire, qui, qui giace il mio caro, voi non sapete che desolazione e che tristezza in quelle lapidi orlate di nero che non ricordano ceneri.
Io ero uno di quell'equipaggio, le mie urla si mescolavano al verso dei gabbiani, il mio odio indicibile si fece immenso.
La mia colpa aver ucciso l'albatro, spirito guida, la maledizione si abbattè su di noi, ossa e cenere sulla sabbia a ricordare la grandezza di chi è stato e mai più sarà, amen

mamma africa